In(TE|MI)grazione

 Ma l’integrazione migrante dove inizia?(piazzetta Sassari vs Via Giulio)

Tutti i pomeriggi che il tempo ce lo permette andiamo al parco con Maia. Ci sono diversi parchi, con diversi giochi e diversa gente. Ma da qualche tempo osservo una cosa piuttosto strana: noi viviamo in un quartiere nel centro di Torino dove l’immigrazione è abbastanza alta. Ultimamente frequentiamo il parco giochi di Via Giulio, bellissimo giardino del comune gestito da mamme che viene chiuso la sera e dove l’ingresso ai cani è vietato, ma fino a poco tempo fa andavamo spesso in Piazza Sassari, dove ieri siamo dovute tornare (Via Giulio era chiuso per lavori di manutenzione)… dopo cinque minuti però mi sono ricordata del motivo per cui non portavo più a Maia ai giochi di Piazza Sassari: i modi che vedo nelle mamme.
Ieri appena siamo arrivate in piazzetta Maia è salita sullo scivolo dove c’era una bambina che non scendeva giù e non lasciava scendere agli altri: la mamma si è alzata dalla panca e l’ha fatta scendere prendendola dall’orecchio… Maia è rimasta un po’ male. Subito mi sono ricordata che l’ultima volta che ero stata in quel parco, mentre aspettavamo per salire sull’altalena dei grandi (con Maia ci piace andare sull’altalena insieme), due bambini che si dondolavano si sono messi a litigare non so per cosa: le loro mamme, straniere, si sono alzate dalla panchina e ognuna ha dato uno schiaffo al proprio figlio. Maia è rimasta interdetta, io anche.
Mi chiedo perché in due parchi ad una distanza di 400 metri ci siano realtà cosi diverse. In via Giulio incontro una mamma che fa commercio solidale con America Latina e fa un corso di come raccontare fiabe, un papà che fa parte di una compagnia di teatro, un gruppo di mamme che parla di omeopatia… In piazza Sassari le mamme sono quasti tutte immigrate, sedute in gruppetti riconducibili alla loro origine etnico-linguistica, chiuse tra di loro a chiacchierare. Attenzione che io non credo che le famiglie italiane non siano violente, ma non è di questo adesso che voglio ragionare.
Ieri dopo cinque minuti volevo andare via del parco, non mi piace che Maia veda quei modi di rapportarsi con i bambini. Ma subito mi sono chiesta se non è proprio qui che dobbiamo cercare di integrarci. Non passa da questi spazi la creazione di reti, di crescita culturale, di confronto? Dovremmo fare una forma di scambio Sassari – Via Giulio? Ma poi queste mamme sarebbero disponibili ad uno scambio? E che autorità ho io per dire qualcosa a quella mamma che da uno schiaffo per una banalità del genere? Ho l’autorità di avere con me una bambina che ha diritto di vedere solo scene di serenità, ma non credo che questo basti a contrastare una cultura con codici diversi dai miei.
Credo che sia una ricchezza per Maia andare ad un parco giochi dove le madri parlano ai bambini in lingue diverse, anche perché io parlo a Maia in una lingua straniera. Una volta ci è successo, sempre in Piazza Sassari, che c’erano due mamme cinesi che giocavano con loro bimbi e Maia si è messa a giocare con loro, mi sono allontanata un attimo per legare la bici e lei è rimasta con queste mamme che le dicevano cose in cinese: Maia rispondeva nella sua lingua d’infante e io non capivo niente ma ero felice della sua capacità comunicativa. Di fatto ricordo che quando ero piccola i bambini che parlavano in un’altra lingua venivano ben visti, invece adesso alcuni lo vedono quasi come una colpa da nascondere e preferiscono parlargli male in italiano piuttosto che usare la loro lingua madre, togliendo una ricchezza importante a questa società multietnica che troviamo nei parchi e, che piaccia o meno, è in grandissima crescita. Proprio per quello mi preoccupa di più trovare un ruolo, una forma di scambio con queste persone, un modo di integrarci, di migliorare.
Sono sicura che non è grazie alle politiche del Ministro Maroni che l’integrazione viene favorita ma che siano proprio gli ambiti più semplici e pieni di vita, come i parchi giochi, a costruire un futuro comune. Forse in questo le politiche d’integrazione hanno sbagliato, non solo quelle di destra ma anche quelle di sinistra dimenticandosi che è nella quotidianità e semplicità dove bisogna confrontarsi e discutere, perchè l’integrazione non vuol dire cihudere un occhio e lasciare fare ma crescere, confrontarsi e ragionare per una vita migliore, superando codici culturali vecchi senza tenere conto da dove arrivano. Per esempio educare senza violenza ai bambini è una crescita che va al di là delle frontiere e che tocca tutti noi qualsiasi nazionalità si sia.
Forse è proprio da qui che bisogna costruire il mondo di quelli che oggi sono il popolo dei parchi. Ma come si fa a  integrarsi soprattutto quando integrazione vuol dire mettersi in gioco e accettare critiche anche davanti ai propri figli?
Io non so come iniziare ma per lo meno so da dove: ci vediamo al parco.

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